Come prima pagina di questa nuova avventura invece di parlarvi di me e dei miei hobbies come classicamente si usa,  ho deciso di proporvi un mio commento su una lettura che ho adorato, mi ha caratterizzato (dunque alla fine vi parlo comunque di me), e che mi ha accompagnato tenendomi per mano per ben tre anni. Sì, avete letto bene, tre lunghissimi anni per via della scarsa reperibilità degli ultimi due volumi che compongono il ciclo dei moschettieri di Alexandre Dumas.

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Le mie copie della trilogia in edizione Mondadori, Bur e Newton Compton.

I tre moschettieri, Vent’anni dopo e Il visconte di Bragelonne sono spesso considerati “romanzetti”, ma personalmente sono del parere totalmente opposto – questa sarà una frase che mi vedrete scrivere spesso. La bellezza di questa trilogia, secondo me, sta proprio nella semplicità e nella leggerezza d’animo con cui è stata scritta, valori che vengono spesso scambiati per mancanza di contenuto e profondità. Del resto sono molti ad essere del mio stesso giudizio, come dimostra la gran quantità di adattamenti cinematografici e televisivi che sono stati creati nel tempo e che, purtroppo, sono solo pallidi riflessi di quella genuinità che l’opera trasmette. Infatti oltre ai famosissimi intrighi che l’autore ingarbuglia e sbroglia con una maestria senza pari, ciò che più mi è rimasto nel cuore è quel sentimento di vera amicizia che lega i quattro personaggi principali dall’inizio fino alla loro decadenza e morte. Perché nonostante tutto, restano comunque legati da una stima e da un amore così profondi che nemmeno le scelte che li portano ad essere nemici l’uno dell’altro riescono a spezzare. È un legame molto difficile da ritrovare ai giorni nostri, dove più che veri amici si hanno al massimo delle conoscenze più approfondite di altre, ed è questa la chiave che rende questi romanzi popolari anche ai nostri tempi: perché riescono a renderti parte di quella salda amicizia, diventando così confidente dei segreti di Aramis, depositario del cuore di Athos, ascoltatore delle facezie di Porthos e complice della genialità tutta guascona di d’Artagnan.

Dunque vorrei ringraziare dal profondo del mio cuore ognuno di loro e soprattutto quel loro padre meraviglioso che è Dumas, per avermi fatto gioire, esultare, preoccupare, piangere e commuovere insieme a loro. Perché i sentimenti buoni e sinceri sono sempre più difficili da trovare, come testimonia per l’appunto la fine della saga, che vede l’inizio di una nuova era in cui i verbi apparire e sembrare sono più importanti di quel modo di essere tutto genuino e schietto che tanto aveva caratterizzato il nobile d’Artagnan.